
13 Aprile 2025
Domenica
delle Palme
Gesù entra a Gerusalemme “consegnandosi” senza riserve al disegno redentivo del Padre. E noi, dove ci poniamo di fronte a questo “terremoto”?

PASSIONE DEL SIGNORE
Una lunga tradizione, inaugurata da Dante nella Divina Commedia e raccolta poi da Giorgio Vasari nelle sue famose Vite, ribadita per secoli dai critici d’arte, ha visto prima in Cimabue e poi in Giotto il nuovo inizio della pittura italiana. Ma la pittura moderna nasce a Firenze o a Roma? Il primo pittore è Giotto, a detta del Vasari, o forse è Pietro Cavallini? Certo è che il Vasari, declassando il Cavallini a “discepolo” di Giotto, ha stabilito un anacronismo anagrafico paradossale, come notava Vittorio Sgarbi, creando così un pregiudizio storico che è durato molti secoli. Comunque, la svolta radicale nella cultura figurativa riguarda soprattutto il passaggio dall’influsso bizantino a un’arte che interpreta la realtà. Nelle pareti affrescate o sulle tavole si notano persone vere, che hanno un ruolo sociale e occupano uno spazio fisico ben preciso e definito. Tra i pittori che si evidenziano in questa nuova weltanschauung troviamo i due fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti. Pietro (1280-1348), in un periodo straordinariamente ricco di personalità e culturalmente vivace, giunge in un luogo di confronto incredibile per tutti i più grandi artisti della fine del 1200 e gli inizi del 1300: la basilica di S. Francesco ad Assisi. Nelle due basiliche (inferiore e superiore) troviamo i maestri della scuola romana (Filippo Rusuti), i fiorentini (Cimabue e Giotto), i senesi (Duccio, i nostri due fratelli Lorenzetti, con Simone Martini). Portiamo l’attenzione sull’affresco di Pietro, Ingresso di Cristo a Gerusalemme, che si trova nella basilica inferiore. Come è noto, Pietro fu influenzato da Duccio (specialmente nei volti), ma il suo soggiorno a Firenze lo portò a contatto con Giotto (di qui i suoi complessi e ambiziosi sfondi architettonici). Da Giotto, Pietro eredita anche il gusto per il racconto, che da mito si fa storia, «epica sacra», come osservava l’Argan. L’affresco parte da una iconografia molto tradizionale, ma poi introduce delle novità. Pensiamo ai già menzionati scorci prospettici o alla tridimensionalità spaziale molto accentuata. La Domenica delle Palme e della Passione del Signore, come sappiamo, apre la Settimana Santa unendo il trionfo regale di Cristo e l’annuncio della Passione. Nell’affresco Cristo è al centro della scena, seguito dagli apostoli (troviamo Giuda, senza aureola). Gesù è l’immagine viva del dono del Padre, che «viene consegnato nelle mani dei peccatori» (Mc 14,41; cf. Mt 26,45) e che, a sua volta, “si consegna” senza riserve al disegno redentivo del Padre. Siamo dentro a un’incredibile e vera storia d’amore, commisurata alla sapienza e alla fantasia di un Dio infinito e che perciò eccede le proporzioni del nostro misero cuore. Pietro Lorenzetti fa concentrare la nostra attenzione sul volto di Gesù: un volto determinato e deciso (cf. Lc 9,51), un volto che esprime la consapevolezza di un destino ormai imminente e che vede più lontano dei suoi acclamatori. Gesù è giunto a Gerusalemme. La sua è stata una “ascesa” innanzitutto nel senso geografico ma anche interiore» dal momento che come gradini di questa salita, ciascuno dei Sinottici ci ha trasmesso tre profezie circa la passione. Il Messia che sta facendo il suo solenne ingresso nella città di Davide sembra in aperta contraddizione con queste profezie e appare del tutto diverso dalle attese umane, dal modo in cui la maggioranza degli ebrei si era raffigurata questo avvenimento. Invece di ricevere il dominio, Gesù è respinto dai rappresentanti ufficiali e dai farisei: la loro stessa posizione dinanzi alla stretta porta della città, rappresentata come un magnifico castello, sta a indicare che essi non entrano e vogliono impedire anche agli altri e anzitutto a Gesù di entrare. L’evangelista Matteo afferma esplicitamente che all’ingresso di Gesù «tutta la città fu presa da agitazione» (21,10). Viene qui usato il verbo eseisthē, che esprime lo sconvolgimento causato da un terremoto, come sarà alla morte di Gesù (cf. 27,51). E noi, dove ci poniamo? Facciamo nostra l’esortazione della Lettera agli Ebrei: «Usciamo dunque verso di lui fuori dall’accampamento, portando il suo disonore; non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura» (13,13-14).
Commento a cura di d. Sandro Carotta, osb
Abbazia di Praglia