
30 Marzo 2025
Quarta Domenica
di Quaresima
Anno C
Anche Gesù, come il figliol prodigo, ha lasciato la casa paterna. Ma per venire a cercarci nelle nostre dispersioni e riportaci nel seno paterno.

IL TERZO FIGLIO
Perché l’uomo?
Ogni volta che nasce un uomo
Dio conosce i tormenti del parto.
Dio ha espresso il suo amore per l’uomo
col pianto.
A. Merini
Quando i pittori (ad esempio Rembrandt, Chagall, Murillo, per citarne alcuni) hanno commentato Luca 15 hanno sempre immortalato l’incontro tra il figliol prodigo e il padre misericordioso, lasciando fuori altri personaggi. Pensiamo ad esempio al figlio maggiore. Ma ad una lettura attenta del testo evangelico, quanti sono i figli del padre misericordioso, icona del Padre dei cieli? I figli sono tre e non due. Ma andiamo gradatamente. Se il figlio minore aveva interrotto ogni rapporto con la famiglia perché convinto che per poter vivere bisogna andare lontano da casa, sciogliendo così ogni legame morale e affettivo con il padre, con il fratello, e con l’ambiente, il figlio maggiore pensava invece che per poter vivere (un problema che li assilla entrambi) bisognava difendere le proprie aspettative e i propri privilegi. Per il primo vive chi cambia, per il secondo vive chi mantiene. Chi ha ragione? Nessuno dei due. Emerge un dato: entrambi sono contrassegnati da un vuoto fisico. Sebbene su posizioni diverse sono frustrati nel cibo (il primo non ha neppure le carrube dei porci per saziarsi, il secondo lamenta che non ha mai avuto un capretto con cui festeggiare). Sono quindi figli insoddisfatti, che cercano di colmare il vuoto nelle dissolutezze o con una rigida obbedienza ai dettami paterni: «Non ho mai disobbedito a un tuo comando» (Lc 15,29), afferma il maggiore. L’atteggiamento di entrambi i fratelli verso il padre è quello del servo verso il padrone. Se vogliamo è il paradosso di questa famiglia, dove i servi vengono trattati da figli e hanno pane in abbondanza (cf Lc 15,17) e i figli si sentono e si comportano da servi (cf Lc 15,29) o anelano ad esserlo (cf Lc 15,19). Ma c’è pure una differenza tra i due; il minore spera di essere trattato come un salariato, il maggiore pensa di essere un servo senza diritti. Bene lo evidenzia il verbo utilizzato da quest’ultimo: douleuo, per indicare il servizio lungo e penoso da lui sopportato. Douleuo indica il servizio dello schiavo. Il servizio contrassegnato dall’amore invece ha un altro verbo: diakoneo (cf Lc 22,17). In quanto servo/schiavo non ha un ruolo collaborativo con il padre, ma servile e obbediente. E qui emerge il terzo figlio. Chi è? Chi sta narrando la parabola, Gesù. Anche lui ha lasciato la casa paterna ma per venire a cercarci nelle nostre dispersioni e riportaci nel seno paterno; anche lui ha obbedito alla volontà del Padre ma in modo libero e con amore. Ecco il figlio che vogliamo imitare.
Commento a cura di d. Sandro Carotta, osb
Abbazia di Praglia