10 Novembre 2024

XXXII Domenica
del tempo ordinario

Anno B

Abbiamo bisogno di recuperare il significato del dono, imparare a saper donare meglio e crescere nella capacità di riconoscenza, perché la vita è bella quando ci si dona e si ringrazia.

DECIDERSI PER IL DONO

Portiamo la nostra attenzione sulla prima lettura di questa domenica. Anzitutto, perché questa pagina? Perché ci parla di dono, di condivisione e quindi di speranza. Elia, a Sarepta, accolto da una vedova, riceve in dono del cibo; la donna vedova vede Elia come dono (è un profeta). Entrambi sono spettatori di un dono miracoloso: farina e olio che non si consumano. Useremo allora anzitutto questa chiave per entrare nel racconto. E lo faremo perché oggi più che mai abbiamo bisogno di recuperare il significato del dono (cosa significa donare); abbiamo bisogno anche di imparare a saper donare meglio e di più (le misure del dono) e non da ultimo abbiamo bisogno di crescere nella capacità di riconoscenza (per i doni ricevuti), perché la vita è bella quando ci si dona e si ringrazia.
Se noi osserviamo i due protagonisti comprendiamo una prima cosa importante: il dono si attua solo dove si è deciso di donare. Elia, preso alle strette, si decide a chiedere aiuto e lo fa verso una donna, e per di più pagana; la donna si decide ad accogliere uno straniero, di altra fede e non da ultimo decide di donare il poco che ha. Ma cosa significa decidersi? «Decidere» deriva dal latino de-caedere, che significa tagliare via. La decisione implica quindi un taglio. Ma da cosa? Da se stessi come unico criterio di scelta. Possiamo parlare anche di taglio dell’io. Una persona che si decide, è perciò una persona che taglia radicalmente quella pretesa che fa dell’io il principio di auto-determinazione a prescindere dagli altri (vita come auto-progetto – Mi sono fatto con le mie mani). No, chi si decide per il dono fa dell’altro il fattore dell’edificazione di sé (vita come apertura a ciò che sta fuori – Mi sono fatto grazie anche alle mani degli altri). Allora la vita più che auto-progetto, come abbiamo ricordato, è esodo da sé. Vivere è uscire da sé, dalla propria dimensione per andare verso il nuovo, dove ci si riceve grazie all’altro.
Stando al nostro racconto il dono è provocato dalla mancanza. Nel racconto si narra di una carestia dovuta alla siccità. La carestia fa tutti più poveri e quindi più solidali. Il dono quindi colma la mancanza. Solo? No, il dono avvicina i lontani: Elia incontra la vedova e la donna il profeta. Lontani in che senso? Elia è mandato da Dio ad una donna di Sarepta, quindi a una straniera che professava la fede in Baal (che lui combatteva). Niente di peggio. Questo comporta un rischio: se quelli di Sarepta avessero capito che la siccità e quindi la carestia erano dovute a lui cosa gli avrebbero fatto? Come minimo lo avrebbero ucciso. Uscire comporta quindi un rischio. Ma si esce solo se chiamati da Dio e secondo una promessa. C’è quindi una forza dall’alto (la fede). Così anche per noi: l’esodo verso l’altro (per il dono) comporta un periculum: mi accoglierà o mi rifiuterà? L’altro, comunque, è una terra straniera (chi può conoscere fino in fondo una persona?). L’altro è sempre un altro: per cultura, per mentalità, per fede. Cosa possiamo ancora dedurre: che non si può partire verso l’altro (decidersi per il dono) chiedendo troppe garanzie e sicurezze. C’è un periculum, come abbiamo detto, un rischio da correre. Ad ognuno la scelta.

Commento a cura di d. Sandro Carotta, osb
Abbazia di Praglia

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