3 Settembre 2023

XXII Domenica
del tempo ordinario

Anno A

Portare la croce significa vivere in obbedienza al Padre (dimensione verticale) e in solidarietà con i fratelli (dimensione orizzontale).

Il discepolo e la croce

A coloro che vogliono seguirlo, Gesù dice: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Notiamo: l’invito alla sequela non è un obbligo, ma una proposta; una proposta, aggiungiamo, che interpella la libertà del singolo: «Se qualcuno…». «Gesù – scriveva Gianfranco Ravasi – non ha né plagiato né reso fanatici i suoi seguaci; li ha conquistati, ma lasciando intatta la loro libertà». Questa proposta non è rivolta solo ad una categoria di persone ma a tutti (universalità della chiamata). Seguire Gesù significa poi stare dietro a lui. Questo comporta stare alla sua scuola, e riconoscersi suoi discepoli. Sembra ovvio ( e magari scontato), ma in realtà non lo è. Nel Vangelo di Matteo noi vediamo come i discepoli rischiano talora di mettersi davanti al Maestro (cf. Mt 16,21), o al suo fianco (cf. Mt 20,21). Gesù, con somma pazienza, dovrà continuamente riposizionarli dietro a lui.
Abbiamo poi un verbo importante: rinnegare. In greco, aparnéomai significa rinnegare con forza. Cosa bisogna rinnegare con forza? Il proprio io, l’egoismo che ci tiranneggia e trascina in schiavitù. Rinnegare se stessi, nell’ottica evangelica, significa non fare di se stessi il valore ultimo, il criterio di ogni scelta, il punto attorno al quale tutto deve convergere. Rinnegare se stessi, più in positivo, equivale a fare di Gesù il centro, il riferimento, l’oriente della propria vita.
L’atto poi di prendere la propria croce significa invece che si vuole far propria la logica di Gesù, che per primo ha preso la sua croce ovvero ha voluto esprimere il suo amore verso il Padre con l’obbedienza, e il suo amore verso gli uomini con la solidarietà. Ma prendere la propria croce ha anche un altro significato. Quando Gesù fa questo invito si riferisce a quel momento in cui viene emessa la sentenza e il condannato deve caricarsi del patibulum e avviarsi verso il luogo della crocifissione. Questa è l’ora più drammatica perché il condannato deve passare tra la folla per la quale è un dovere religioso insultarlo e malmenarlo. L’invito quindi a caricarsi della croce significa che per Cristo, e la sua parola, il cristiano deve saper accettare il disprezzo, il rifiuto, e l’odio del mondo.
«E mi segua» – conclude Gesù. Il discepolo non è un arrivato. Mai. È sempre dietro al suo Maestro, cercando di vivere giorno per giorno il suo Vangelo. Seguire Gesù significa anche essere distaccati dal lavoro e dalla propria famiglia, dalle ricchezze, e soprattutto, come abbiamo detto, da se stessi. Ma il distacco evangelico non è fine a se stesso. Tutto è in funzione di una concentrazione maggiore su Cristo. Quindi il distacco radicale richiesto dal Signore non è tanto una mortificazione della persona, né della gioia di vivere ma la loro piena e autentica espansione in lui.

Commento a cura di d. Sandro Carotta, osb
Abbazia di Praglia

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