P. José María Soler, OSB
Visitatore Provincia Ispanica
In occasione dei 150 anni della Congregazione
Con gioia dobbiamo ringraziare Dio per questi 150 anni di vita. Quella che era nata come una piccola Provincia della Congregazione Casinese, per iniziativa dell’abate Francesco Casaretto e accolta da Papa Pio IX, è diventata la più grande entità monastica della Chiesa cattolica, presente nei cinque continenti. Dio è stato generoso e ha reso i monasteri della Congregazione scuole del servizio divino non solo per i suoi monaci e monache, ma anche per un gran numero di uomini e donne provenienti da tutto il mondo. I nostri monasteri sono stati luoghi d’identificazione con Cristo e oasi di pace per tante persone, oblate e non, che hanno avuto le nostre case come punto di riferimento. È vero che, come ogni opera compiuta dagli uomini, ha avuto le sue colpe e i suoi peccati e per questo dobbiamo chiederne perdono. Ma soprattutto dobbiamo rendere grazie per l’opera che Dio ha svolto in questi 150 anni nei monaci e nelle monache della Congregazione e, attraverso di loro, a favore di tante persone.
Attualmente, in un modo o nell’altro, molti dei nostri monasteri vivono una situazione di fragilità, soprattutto a causa della scarsità di vocazioni e dell’età avanzata di molti membri delle comunità, che produce una diminuzione dei monaci e persino la chiusura di alcune case.
In ogni caso, quello che importa non è il numero dei membri, ma la qualità della vita di fede, di preghiera, di vita fraterna, di accoglienza. E questa continua a essere una realtà viva nelle nostre comunità, che ci permette di continuare a servire il popolo di Dio e la società. Le comunità prestano questo servizio essendo testimoni dell’amore fedele di Dio, essendo scuole di preghiera e di vita fraterna, accogliendo e offrendo spazi di silenzio, riflessione, incontro, formazione spirituale, dialogo con la cultura, secondo le possibilità di ciascun monastero e il suo contesto ecclesiale e sociale.
Un elemento forse più importante oggi che in altri tempi è quello dell’accoglienza e dell’ascolto. Un monastero deve offrire il servizio di ascolto, di pacificazione, di guarigione delle ferite che tante persone portano dentro di sé; deve offrire una parola d’incoraggiamento, di vita, di speranza. Per fare questo, dall’esperienza umana e di fede del monaco o della monaca, dobbiamo aiutare coloro che si avvicinano a noi a creare uno spazio di silenzio dentro di sé affinché possano conoscersi meglio e pacificarsi. In questo modo, contribuiremo ad aiutarli, a restaurarsi dentro e ad aprirsi agli altri e a Dio. Questo fa parte dell’essere Chiesa samaritana, per riprendere le parole di Papa Francesco, che accompagna e guarisce le ferite di tanti nostri contemporanei che soffrono. È qualcosa che coincide pienamente con la tradizione benedettina che stabilisce che ogni persona deve essere accolta come se fosse Cristo stesso.
Per molte comunità europee della Congregazione, più che in altri continenti, la celebrazione di questi 150 anni coincide con un momento di notevole debolezza, a causa dell’invecchiamento, della diminuzione o mancanza di ricambio generazionale. È una situazione che non è sempre facile da gestire e che comporta molta sofferenza. In ogni caso, con l’aiuto del Signore, dobbiamo cercare di viverla non con delusione e frustrazione, ma come una nuova chiamata del Signore a vivere una «kénosis» che coinvolga fede, umiltà e generosità. Molti fratelli e sorelle di questi monasteri continuano con gioia a dare il meglio di sé per continuare a essere fecondi nell’amore nonostante l’età avanzata e gli acciacchi. E continuano a testimoniare la gioia di servire il Signore e i loro fratelli. Questo è anche un momento di grazia all’interno del progetto di amore che Dio ha per ogni comunità e per ciascuno dei suoi membri, poiché si tratta di vivere a livello comunitario, dalla fede e la speranza, il mistero pasquale di annientamento, morte e risurrezione. Così Dio continua a essere glorificato in tutta la Congregazione, mentre si dirige verso il suo secondo centenario.