
5 Novembre 2023
XXXI Domenica
del tempo ordinario
Anno A
La comunità non è solo un dato ma soprattutto un compito. Questo vale anche per ogni comunità cristiana che costituisce il grande Corpo della Chiesa di Cristo.
QUALE COMUNITÀ?
Scriveva Martin Buber che la comunità «è là dove avviene». La comunità non è allora solo un dato ma soprattutto un compito. Questo vale anche per ogni comunità cristiana che costituisce il grande Corpo della Chiesa di Cristo. Nel brano evangelico odierno possiamo vedere ciò che edifica ma anche ciò che può distruggere una comunità di fede. Dei farisei, icona di un atteggiamento più che di una classe religiosa, Gesù dice perentorio: «Dicono ma non fanno» (Mt 23,3). Questi maestri insegnano correttamente e con zelo la Legge di Dio ma non sono coerenti. Peggio: pretendono dal prossimo ciò che loro neppure toccano con un dito. E qui siamo posti davanti ad un paradosso: come è possibile ritenersi maestri nelle vie di Dio e non vivere i suoi insegnamenti? Incoerenza e scetticismo generano poi ipocrisia e inganno. Ma c’è un secondo aspetto: fanno tutto per essere ammirati (cf. Mt 23,5). Qui Gesù condanna la simulazione o, se vogliamo, il narcisismo, con i quali si riesce persino ad insudiciare le azioni più sacre. Ma non è ancora tutto, il culmine è quando queste guide pretendono di farsi chiamare rabbì dalla gente. Rabbì, come è noto, significa «mio grande». Matteo non ama questo titolo e l’unica volta che lo mette sulla bocca di un discepolo è nel caso di Giuda che chiamerà Gesù rabbì mentre lo sta tradendo (cf. Mt 26,25). Più in positivo, Gesù afferma che le logiche che devono animare i credenti sono quelle del servizio libero e disinteressato (cf. Mt 23,11). Ma cosa significa servire? Non certo strafare nelle cose: si può far molto ma non servire. Il servizio fraterno è un modo di porsi davanti all’altro e si caratterizza per l’apertura, l’ospitalità e il disinteresse.
Commento a cura di d. Sandro Carotta, osb
Abbazia di Praglia