Il Vangelo della Messa del giorno di Natale è il Prologo di Giovanni. Il Prologo ci rivela chi è quel Bambino che abbiamo lungamente atteso (Messa della vigilia), del quale ci è stato dato il solenne annuncio (Messa della notte) e che in fine abbiamo contemplato in braccio a sua Madre nel presepe (Messa dell’aurora). Al versetto 14 abbiamo la frase lapidaria e provocatrice di Giovanni: «E il Verbo (Logos) si fece carne (sarx)». Sarx designa l’uomo nella sua fragilità esistenziale, come è noto. Dio, al contrario, è un Dio di gloria (cf Is 40,5). Com’è possibile che il Logos, Dio, abbia assunto una condizione effimera? Com’è possibile che il Logos sussistente ed eterno sia divenuto mortale? Ecco la sfida del Natale: riconoscere la gloria di Dio nell’umanità di Gesù, da cui traspare la fatica (Gv 4,6), le lacrime (Gv 11,35) e il turbamento davanti alla morte (Gv 13,21). A questo riconoscimento si perviene attraverso la via della fede, ben evidenziata in quel «e noi abbiamo contemplato la sua gloria» (Gv 1,14c). La fede è espressa in termini di visione («abbiamo contemplato»). Qui la comunità cristiana, il noi dei credenti, afferma chiaramente che nella carne ha visto la gloria o, in altre parole, che nella vicenda di Gesù ha riconosciuto Dio. Il Natale ci ricorda che dentro di noi sta formandosi una vita nuova, che Cristo ci offre la possibilità di una rinascita, di un nuovo inizio. Certo, la nostra storia passata può pesarci e condizionarci ma non al punto da spegnere la speranza. In Cristo, che nasce per noi, comprendiamo allora che non è mai troppo tardi per ricominciare.

Commento a cura di d. Sandro Carotta, osb
Abbazia di Praglia